Davanti al pericolo di un eccessivo abbattimento di relazioni profonde e nutrienti in famiglia, a scuola, negli ambienti di lavoro e nei luoghi d’incontro, serve incoraggiare e promuovere, in modo sistematico, l’intelligenza emotiva, l’insieme di competenze affettive, empatiche e di rispecchiamento reciproco fondamentali per creare un clima di profonda condivisione tra le persone. Portare questa competenza negli ambienti d’apprendimento è una conquista per l’istruzione e, ancor di più, per la democrazia.
L’intelligenza emotiva a scuola
Gli esseri umani sono programmati per connettersi e la sfera emotiva, attraverso l’empatia, sembra essere il vettore principale in grado di mediare ogni connessione. Le ricerche più recenti hanno gradualmente spostato l’interesse scientifico dal concetto iniziale di Goleman circa l’intelligenza emotiva, giudicato nel tempo troppo statico, a quello più duttile, utile e funzionale all’ambiente d’apprendimento di “educazione emotiva”. Il termine, tuttavia, poco modifica circa premesse e implicazioni della dimensione emotiva nella relazione a scuola.
Concetto a cui la Scuola di Intelligenza Emotiva giunge partendo da mezzi creativi che sono la risposta alla domanda più frequente: “come ci si arriva?” Personalmente, io ci sono arrivato scrivendo il Metodo Autobiografico Creativo che insiste su due aspetti:
- lavoro dell’insegnante sul suo benessere personale e sulle emozioni;
- acquisizione di strumenti pratici da utilizzare.
Se l’insegnante, infatti, incontra la sua creatività e le emozioni, ha molti più strumenti per stimolare l’apprendimento da dentro a dentro. Ecco quello che, nel mio libro “A scuola di Intelligenza Emotiva” ho definito Apprendimento Multisensoriale Creativo.
Risolvere un’emergenza
Oggi, in tema d’infanzia e di adolescenza, ci troviamo in piena emergenza bullismo: violenze, caduta a picco dell’empatia, latitanza dell’autorevolezza. Occorre una risposta forte in termini culturali, una proposta educativa, trasversale a tutte le scuole, in grado di offrire agli alunni, ai bambini e adolescenti (ma sarebbe auspicabile iniziare già all’età del nido), programmi e progetti di educazione emotiva, di educazione allo sforzo, alla fatica, all’impegno, al rispetto e alla relazione con l’Altro.
Ogni docente del resto sa quanto un clima sereno all’interno del gruppo classe sia condizione imprescindibile per un buon apprendimento, un miglior sviluppo della sfera cognitiva e una crescita armonica.
È così che si mettono ragazzi e adolescenti nella condizione di evitare l’attrattiva di
- avventure pseudoemozionali (lo sballo e la dismisura),
- condotte disadattate (aggressività e prevaricazioni) o
- comportamenti poco incisivi e tendenti alla regressione (passività, nichilismo, chiusura).
La modulazione emozionale
Si tratta, in altri termini, di attivare, costruire, insegnare le capacità di identificare, gestire e modulare il mondo emozionale interno. Contrariamente a quanto si crede, infatti, tali competenze non sono innate ma vengono apprese.
- Non credete debbano riguardare anche noi adulti, se vogliamo essere una guida?
- Non pensate che sia utile un training sull’intelligenza emotiva per insegnare?
- Il tempo che vi passa accanto è quello dei nostri figli. Vogliamo viverlo con indifferenza?
Questo processo educativo può essere introdotto, con l’impegno di tutti, accanto alle tradizionali attività didattiche, senza interferire con i programmi e senza essere vissuto dai docenti come un ulteriore aggravio di impegno e fatica.
I format strumentali, peraltro, sono pensati per essere applicati dai docenti con estrema facilità ma occorre una preparazione per il loro utilizzo.
Il ruolo dell’insegnante oggi
Chiudo questo invito con una considerazione fuori dalle righe, tratta da un’unità didattica del Corso online “Intelligenza Emotiva negli ambienti di apprendimento” e che riguarda il ruolo che oggi ha l’insegnante. La considerazione è amara ma realistica e motiva (vorrei dire che incoraggia) un aggiornamento mirato a potenziare le risorse non tecniche del docente.
La verità è che l’insegnante, prima ancora di iniziare a fare il proprio lavoro e di conquistare il desiderio dei ragazzi, deve riuscire a farsi accettare come persona degna di fiducia. Nell’arco degli ultimi decenni, da quando si sono diffusi nella scuola, sembra che i concetti di
- inclusione e
- integrazione
abbiano interessato esclusivamente i ragazzi con maggiore difficoltà escludendo, come d’incanto, gli insegnanti.
In altri termini, la scuola dell’inclusione e dell’integrazione ha finito con l’escludere e dis-integrare gli stessi insegnanti. Questo è il risultato finale del patrimonio di fiducia, di cui la scuola italiana fino alla metà del secolo scorso poteva di fatto beneficiare, che si è andato dissipando.
Oggi l’insegnante che si accosta alla classe per la prima volta parte già con un debito di fiducia. Come può, dunque, una persona di cui non ci si può fidare rappresentare quella figura nei confronti della quale investire il desiderio che mi faccia ideare una strategia per il mio avvenire?
Gli insegnanti differenti
Questa è la domanda alla quale dovremmo cercare di trovare una risposta per riuscire a comprendere cosa significhi essere insegnanti differenti da coloro i quali, non aggiornandosi (o facendolo molto made in your self!), non potendo essere licenziati e non pagando, quindi, nessun prezzo per la loro incapacità, abbassano la media dell’efficacia della categoria e impongono un conto salato ai bravi colleghi, alle famiglie, ai ragazzi, alla società, alla democrazia e perfino alle future generazioni.
Certo, andrebbero tenuti da conto più fattori, non ultimo quello retributivo. D’altro canto, qui si insiste solo sul ruolo docente e sulle capacità di una categoria a cui nessuno insegna come si debba insegnare. Ma pensiamoci un attimo: non è forse anche il fatto di aver immesso in società orde di ignoranti che ha determinato il crollo dello status sociale dell’insegnante?
Essere insegnante non rappresenta più uno status rispettabile (tanti episodi diffusi sul web dimostrano la caduta dell’autorevolezza e dell’autorità dell’insegnante) e, da molti punti di vista, non solo non è più una professione privilegiata ma è divenuta addirittura poco riconoscibile sul piano sociale.
C’è solo una competenza che può aiutare a colmare questo gap e rimodulare correttamente la relazione educativa. Si chiama “Intelligenza Emotiva” ed è il pezzo mancante dei curricula dei docenti.