Dal momento della sua apparizione in ambito scientifico, il concetto di intelligenza emotiva è rimasto ignorato per alcuni anni. Il concetto di intelligenza emotiva nasce con Peter Salovey e John Meyer (nella foto) nel 1990 ma bisogna aspettare il 1995 e Daniel Goleman per riuscire a creare un interesse diffuso intorno al concetto. Questa è la ragione per cui lo psicologo americano viene considerato il padre putativo della intelligenza emotiva, benché si debba ai due citati precursori il merito di aver coniato, solo qualche anno prima, il nome con cui oggi viene chiamata una delle più importanti competenze di vita.
L’intelligenza emotiva
L’interesse è andato crescendo in maniera esponenziale, dopo la pubblicazione del Best Seller dal titolo “Intelligenza emotiva: perché può renderci felici”, al punto di finire sulla copertina del “Times” e di affacciarsi, in maniera persistente, anche nei notiziari e nei programmi televisivi d’oltreoceano. In poco tempo si inizia a parlare di intelligenza emotiva anche nella cultura di massa delle società iper-moderne: nel 2015, il World Economic Forum la inserisce tra le più importanti competenze per l’inserimento dei giovani e per il successo nel mondo del lavoro. Il termine oggi è entrato nel linguaggio comune al punto di essere, in alcuni casi, inflazionato o usato impropriamente.
A chi dobbiamo tutto questo enorme clamore? Goleman, da grande divulgatore dotato di fine intuito, ha sicuramente avuto l’abilità e l’intelligenza di cavalcare l’onda del momento, sdoganando un concetto che ha subito conquistato il mondo ma che, fondamentalmente, nasce da una idea molto semplice. La forza del messaggio di Goleman risiede sicuramente nella sua abilità di
- trasmettere il concetto in maniera semplice ed efficace,
facendo leva sul sogno più elementare della gente: il desiderio di successo e di prosperità, perché sganciato dalle competenze tecniche, che non appartengono a tutti, e ancorato a competenze di vita che possono essere apprese e migliorate a tutte le età.
Daniel Goleman
Rapidamente, il libro che promuove abilità sociali ed emotive indipendenti dall’intelligenza classica diventa prima un caso letterario di portata planetaria e, subito dopo, una riferimento scientifico per milioni di persone e di organizzazioni in tutto il mondo. Le aziende sono le prime a muoversi secondo il paradigma dell’intelligenza emotiva. L’assunzione del personale, la gestione delle risorse umane e gli avanzamenti di carriera, aspetti un tempo considerati appannaggio delle competenze tecniche e regolati da colloqui incentrati sulla valutazione dei titoli e dei curricula, iniziano a essere disciplinati anche sulla base della capacità relazionale delle persone, un tempo considerata accessoria.
La ricetta di Daniel Goleman è molto semplice, anche perché utilizza concetti già conosciuti, come quelli delle intelligenze multiple, soprattutto l’intelligenza intrapersonale e interpersonale, di Howard Gardner. E questo ne determina il successo.
La ricetta di Goleman
Per lo psicologo americano, l’intelligenza emotiva è la competenza di base che tutti devono possedere e si sviluppa lungo cinque abilità:
- la conoscenza delle proprie emozioni, intesa come conoscenza di sé, come capacità di riconoscere un sentimento quando esso si genera;
- la capacità di controllare le emozioni, cioè saper adattare i diversi sentimenti e i vissuti emozionali alle varie situazioni. Il che implica, per esempio, essere capaci di distrarsi, contenendo emozioni sgradevoli come la paura, la rabbia, l’irritabilità, la tristezza, l’ansia, fino alla resilienza, quale capacità di riprendersi dalle avversità della vita;
- la capacità di motivarsi, che implica il possesso dell’abilità di esercitare un’egemonia sulla propria vita emotiva e di metterla al servizio degli obiettivi. Questa specifica abilità include la capacità di ritardare la gratificazione, di contenere l’impulsività e di entrare nello stato “di flusso”;
- il riconoscimento delle altrui emozioni, come capacità di provare empatia, in quanto capacità di comprendere i segnali sociali che rivelano i bisogni e i desideri degli altri;
- il controllo delle relazioni, ovvero essere capaci di relazionarsi adeguatamente con gli altri, grazie alla capacità di sintonizzarsi con le loro emozioni (qualità alla base della leadership, del successo interpersonale o della popolarità).
La cornice delle competenze
Le abilità descritte si inseriscono nella cornice delle competenze, articolate in competenze personali (intelligenza intrapersonale, come autoconsapevolezza e gestione di sé) e sociali (intelligenza interpersonale, come consapevolezza sociale e gestione delle relazioni) che, insieme, determinano l’impatto positivo sugli altri.
Il modello di Goleman è quello più seguito nel mondo, benché controverso per via del fatto di essere solo “imparentato” col modello originario di intelligenza emotiva fondato da Peter Salovey e John Mayer. Modello originario che appare più “puro”, perché focalizzato sulle abilità di base dell’intelligenza emotiva per l’autogestione e l’autocontrollo e per il miglioramento delle attitudini personali alla relazione. Il modello dell’intelligenza emotiva di Daniel Goleman, infatti, è definito “misto”, perché atterra prevalentemente sulle competenze sociali, sulla leadership e sulla gestione funzionale delle relazioni che dell’intelligenza emotiva appaiono più un’applicazione. Il modello di Goleman, infatti, viene spesso inteso come una strada per il raggiungimento del successo personale e professionale, attraverso il miglioramento del potenziale emotivo e sociale.
Peter Salovey e John Mayer
L’intelligenza emotiva di Salovey e Mayer è, invece, un’abilità mentale, una capacità. I due fondatori, infatti, la definiscono come “un’intelligenza effettiva”, basata sull’uso adattivo delle emozioni per risolvere problemi reali e adattarsi all’ambiente circostante in maniera efficace, che si manifesta con la capacità di usare le emozioni per migliorare la qualità del ragionamento. Un approccio che presenta diversi vantaggi rispetto a tutti gli altri modelli che trattano l’intelligenza emotiva: per esempio, la chiarezza e la coerenza teorica del modello, il rigore, la sua validità, che utilizza strumenti pensati in maniera specifica per valutare le dimensioni del sé e offre, al tempo stesso, anche una guida chiara per poter esercitare e migliorare queste abilità.
Salovey e Mayer offrono una prospettiva evoluzionistica dell’intelligenza emotiva, ispirata a Charles Darwin, che si articola in quattro dimensioni o abilità che si sviluppano in senso gerarchico:
- la percezione, la valutazione e l’espressione delle emozioni, intesa come abilità di identificare le emozioni, esprimerle adeguatamente e di distinguere le emozioni degli altri;
- l’emozione come facilitatrice del pensiero, cioè l’abilità di mettere le emozioni al servizio del nostro modo di processare le informazioni, di risolvere i problemi e di assumere le migliori decisioni;
- la comprensione e l’analisi delle emozioni, ovvero la consapevolezza emotiva, l’abilità di classificare le emozioni, comprendere quelle complesse e sfumate e la loro evoluzione nel tempo;
- la regolazione delle emozioni, l’abilità di gestire le proprie emozioni e anche quelle degli altri, per esempio, aiutando gli altri a distrarsi da emozioni distruttive, l’ultima in ordine gerarchico tra le abilità. Infatti, solo quando si possiede una buona percezione della propria vita emotiva, quando si riesce a distinguerla da quella degli altri, quando si riesce a comprendere come le emozioni facilitino il pensiero e quando si riesce a comprendere come valutarle, analizzarle analiticamente, solo in quel momento è possibile regolare le emozioni.
Ritornerò sull’argomento per gli approfondimenti del caso.