Questo lavoro è il resoconto dell’esperienza formativa di Marina Dessì con il Metodo Autobiografico Creativo per l’Intelligenza Emotiva, metodo del quale Marina, Presidente della Cooperativa “Facta et Verba” di Sestu (CA) che si occupa di didattica per bambini con difficoltà di apprendimento, è finalmente Tecnico. O, se preferite, Coach in Intelligenza Emotiva con le tecniche artistiche e narrative del Metodo Autobiografico Creativo. È un piacere per me ospitare il suo contributo sul mio sito. Dalle sue vive parole, cari lettori, mi auguro apprezziate l’entusiasmo, il coinvolgimento e la scoperta che il percorso svolto insieme ha comportato. Buona lettura.
Tutto inizia dal senso di colpa
Sin da bambina mi sono sempre chiesta il motivo per cui amassi rifugiarmi nel mondo delle mie creazioni, un mondo in cui tutto mi sembrava più facile. Avevo la sensazione, ma non la certezza, che quel mondo potesse salvarmi. Oggi, dopo aver fatto questo bellissimo percorso, ho capito il perché di quel senso di leggerezza che provavo quando disegnavo, ma anche quando dipingevo le pareti della mia camera o quando decidevo di cambiare la disposizione dei mobili della mia cameretta. In quei momenti mi distaccavo da tutti i miei pensieri negativi, dai pensieri capricciosi, da quel caos invadente che credo sia venuto al mondo con me.
La pratica creativa mi permetteva di prendere le giuste distanze, di vedere le cose da un’altra prospettiva. In quel mondo tutto era più facile. Ma non ne avevo consapevolezza. Del resto è difficile dare valore a qualcosa se chi ti circonda ti dice che non è la cosa giusta da fare. Da piccola, ma anche da adolescente, preferire disegnare, confezionarmi i vestiti di carnevale, scrivere storie fantastiche o autobiografiche, non andava proprio bene perché avrei dovuto dedicarmi con più diligenza allo studio. Ecco che ho iniziato a sentirmi in colpa per non essere come gli altri avrebbero voluto che fossi.
Poi la vita ha voluto che scoprissi anche il piacere di studiare, la curiosità di sapere, l’insaziabilità di conoscenza. Ma quella sensazione quasi catartica di distanza dal mondo che provavo durante l’atto creativo l’avevo dimenticata. O meglio si ripresentava periodicamente nei periodi più bui della mia vita per poi sparire nuovamente.
Il Metodo Autobiografico Creativo
Questo percorso formativo, grazie al Metodo Autobiografico Creativo, mi ha permesso di capire perché provassi certe sensazioni in quei momenti. E mi ha anche permesso di mettere ordine nella casa interiore, per dirla con Demetrio, senza fretta e senza ossessione. Attraverso i diversi laboratori che Stefano Centonze ci ha proposto ho re-imparato a farmi attraversare dalle immagini, a ricordare per capire meglio, a dissotterrare vecchi mostri e vecchie ombre per guardarli dritti negli occhi e per poi scoprire che posso addirittura farci amicizia. Mi sono stupita quando ho scoperto che laddove io mi ponevo dei limiti potevo invece spingermi oltre. Il fatto che avessimo comunque poco tempo per portare a termine le consegne mi ha fatto capire che io sono capace di superare i mieI limiti.
Ogni volta mi dicevo: impossibile, non posso farcela in cinquanta minuti. Invece puntualmente riuscivo a concludere l’elaborato e anche con risultati soddisfacenti. E la sensazione che ogni volta ho provato era quella di essermi assentata per un lungo viaggio, dimenticando il caos che affolla solitamente la mia mente, con tutti i suoi loop fastidiosi, quei pensieri acuminati. La cosa fantastica è che non si prova la sensazione di essere fuggiti vigliaccamente… anzi attraverso l’atto creativo si ha la sensazione di essersi girati indietro per osservare bonariamente il nostro passato ma con lo sguardo rivolto verso il futuro.
Il paesaggio interiore
Mi riesce difficile dire quale tra i laboratori mi sia piaciuto di più, perché in realtà tutti mi hanno permesso di crescere sia dal punto di vista tecnico sia da quello personale.
Nel secondo weekend formativo per esempio ci siamo dedicati ai racconti del quotidiano (Racconti del quotidiano: narrare le origini, le tradizioni e la cultura familiare) e tra le svariate attività proposte ce n’è stata una particolarmente bella. Stefano ci ha mostrato una foto che ritraeva un uomo con una valigia appoggiata al pavimento, intento a compilare qualcosa di fronte a uno sportello chiuso. La cosa particolare era che nel lato opposto della stanza c’erano un soprabito bianco e un cappello appesi, come in attesa di essere indossati. Stefano ci ha detto di osservarla attentamente per quindici minuti per poi dedicarci alla stesura di un racconto in un arco di tempo di cinquanta minuti. Inizialmente panico totale.
Poi, seguendo tutti i suoi consigli, sono entrata in quella stanza, ho familiarizzato con l’uomo ritratto nella foto, con gli arredi, le suppellettili, con gli abiti e con quel cappello appeso e ho persino percepito i profumi di quella vecchia stanza. Il risultato è stato un racconto molto bello, fantastico ma con dei tratti autobiografici. Sono stata fiera di me, non tanto per essere riuscita a scrivere un racconto, ma per aver superato la convinzione di non farcela. Ora sono perfettamente consapevole del fatto che anche nella vita tendo a pensare di non farcela. Ma in effetti sinora ho sempre raggiunto i miei obiettivi perché forse l’atteggiamento mentale, senza esserne consapevole, è sempre stato quello di non scappare di fronte alle difficoltà. Questo è il mio paesaggio interiore di cui voglio raccontare adesso.
L’autoritratto
Un altro laboratorio che mi è piaciuto veramente tanto è stato: L’autoritratto: sguardo interiore, percepirsi e rappresentarsi (le due immagini vengono da lì e vi spiego perché).
É stato un viaggio interiore difficile e tortuoso che però mi ha permesso di scoprire che sotto la superficie c’è tanto da scandagliare. E col Metodo Autobiografico Creativo si può andare in fondo, molto in fondo, si può imparare a vedere chiaramente ciò che non siamo mai riusciti a scorgere per il solo fatto di non essere stati capaci di dare un nome alle emozioni o alle sfumature di emozioni strettamente connesse alle diverse percezioni. Ciò che era evidente per me non lo era per i colleghi che osservavano il mio autoritratto, viceversa ciò che vedevano loro sorprendeva me.
Confrontandomi con loro ho avuto modo di sperimentare che l’immagine che abbiamo di noi stessi è diversa da quella che rimandiamo agli altri. Spesso siamo troppo severi con noi stessi. Ma non esiste un’immagine giusta o una sbagliata. Ci sembra sbagliato tutto ciò che ci risulta sconosciuto, che non riconosciamo immediatamente. La verbalizzazione dei nostri disegni ci ha permesso di conoscerci meglio, di arrivare a quello stato di consapevolezza dove l’Io e l’anima sanno fondersi, ma anche di entrare in relazione con gli altri, di capirli, di entrare in sintonia con loro.
“Quelle” sono io
Durante il laboratorio è anche avvenuto un fatto curioso.
Mio marito dopo aver visto il mio autoritratto mi ha detto che io in realtà non ho quello sguardo spento e malinconico perché sono una persona molto allegra, dall’energia contagiosa. Quindi ho pensato bene di rifarlo velocemente cambiando semplicemente l’intensità dello sguardo e l’espressione del viso. Il risultato? Due immagini di Marina entrambe molto vere. Solo che la prima è stata realizzata dopo aver fatto una profonda riflessione scritta su chi fossi. Avevo appena finito di scrivere il mio profilo personale. La seconda dopo essermi confrontata con mio marito. Entrambe le immagini rispecchiavano me stessa, solo che durante i due momenti creativi le emozioni provate sono state diverse. Emozioni diverse, non sbagliate. Imparare a riconoscerle e a incanalarle nella giusta direzione è il primo passo verso la conoscenza di se stessi e di conseguenza verso la conoscenza degli altri.
Finisce oggi il primo step di questo meraviglioso percorso formativo con Stefano Centonze che mi ha permesso di diventare Tecnico del Metodo Autobiografico Creativo. Io ho intenzione di non fermarmi qui. É stato solo l’inizio!